mercoledì 16 gennaio 2013

Canto funebre di Boromir

Su Rohan, su campi e stagni, tra l'erba verde e alta,
Soffia il Vento dell'Ovest, e il muro e il vallo assalta.
«Che nuove stanotte per me, o Vento dell'Ovest vagante?
Boromir l'Alto vedesti, al chiaro di luna o al sole avvampante?».
«Sette torrenti passò cavalcando, grigi e ruggenti;
L'ho visto in terre deserte, solo, inseguire i venti
E l'ombre del Nord, per sempre. Ha udito il Vento del Nord,
Forse, suonare il corno del figlio di Denethor».
«O Boromir!, dalle mura gurdo a ovest, cercandoti invano,
Ma tu più non sei tornato dal buio deserto lontano».

Soffia il Vento del Sud, da dune e scogliere, dal Mare,
Con voce tremante, e porta fin qui del gabbiano il gridare.
«Che nuove dal Sud per me, o vento che spiri fremendo?
Dov'è Boromir il Bello? Tarda, ansioso lo attendo».
«Non chiedermi dove egli sia...Le ossa son molte
Sui neri scogli e sulla bianca rena, nelle cupe notti sconvolte;
Tanti, in cerca del Mare, dell'Anduin solcan la via.
Chiedi al Vento del Nord che ne è di quelli che m'invia!».
«O Boromir! Là dove geme il Vento, la via porta a sud verso il Mare,
Ma tu non giungi al grido dei gabbiani, dalle grige sponde del Mare».

Dalla Porta dei Re soffia il Vento del Nord, sopra rapide e forre;
Freddo e limpido il suo richiamo scroscia e tuona intorno alla torre.
«Che notizie dal Nord, o vento possente, rechi oggi per me?
Che ne fu di Boromir l'Intrepido, che da tempo qui più non è?».
«Sotto Amon Hen gridava, oppresso da molti nemici.
L'elmo rotto, la spada in frantumi, alle acque l'affidaron gli amici.
Il capo fiero e il bel volto alla morte han consegnato.
E Rauros, le rapide d'oro, lontano con sé l'ha portato».
«Boromir! La Torre di Guardia sempre a nord rivolta sarà,
Verso Rauros, le rapide d'oro, sino all'ultimo dì che verrà».

martedì 15 gennaio 2013

HOLGER DANSKE - L'infanzia di Uggeri

Uggeri aveva sedici anni quando Carlo Magno, che aveva esteso il suo impero su tutti i sovrani cristiani del tempo, si ricordò che Goffredo, re di Danimarca, aveva omesso di rendergli omaggio. Ma quando gli mandò un'ambasciata per richiedergli il dovuto vassallaggio, si sentì rispondere un rifiuto. Allora Carlo ripeté la richiesta, ma questa volta con un esercito armato.
Goffredo oppose una vana resistenza, dovette capitolare e giurò fedeltà a Carlo Magno. Come pegno di sincerità, dovette consegnare all'imperatore suo figlio Uggeri in qualità ostaggio.
Uggeri fu condotto ad Aquisgrana, alla corte di Carlo Magno. Si occupò di lui il buon duca Namo di Baviera, che lo allevò come fosse un figlio.
Passarono gli anni e come le fate avevano promesso, Uggeri si faceva sempre più gentile e amabile e superava in forza e ardimento tutti i suoi compagni. Era rispettoso con i cavalieri più anziani e ardeva dall'impazienza di imitare le loro gesta. S'innamorò di Belissena, figlia di un feudatario dell'imperatore, il quale di buon grado gliela concesse in sposa. Insomma, il periodo che Uggeri passò in qualità di ostaggio non fu certo triste, tuttavia il ragazzo si duoleva in segreto per la sua condizione di prigioniero e gli pareva che suo padre l'avesse dimenticato.

Nel frattempo, in Danimarca, la madre di Uggeri era morta e re Goffredo aveva sposato un'altra donna da cui aveva avuto un figlio chiamato Guion. La nuova regina comandava a bacchetta il marito e temeva che, se questi avesse visto ancora una volta Uggeri, lo avrebbe preferito sopra Guion, così aveva accortamente persuaso re Goffredo a ritardare i suoi obblighi di vassallaggio nei confronti di Carlo Magno. In tal modo passarono altri quattro anni e Carlo Magno prolungava a sua volta la cattività di Uggeri finché il re di Danimarca si decidesse a chiarire la faccenda.

Romeo e Giulietta


Quale luce vedo sprigionarsi lassù, dal vano di quella finestra? È l’oriente, lassù, e Giulietta è il sole! Sorgi, bel sole, e l’invidiosa luna già pallida di rabbia ed ammalata uccidi, perché tu, che sei sua ancella, sei di gran lunga di lei più splendente. Non restare sua ancella, se invidiosa essa è di te; la verginal sua veste s’è fatta ormai d’un color verde scialbo e non l’indossano altre che le sciocche. Gettala via!… Oh, sì, è la mia donna, l’amore mio. Ah, s’ella lo sapesse! Ella mi parla, senza dir parola. Come mai?… È il suo occhio che mi discorre, ed io risponderò. Oh, ma che sto dicendo… Presuntuoso ch’io sono! Non è a me, ch’ella discorre. Due luminose stelle,tra le più fulgide del firmamento avendo da sbrigar qualcosa altrove,si son partite dalle loro sfere e han pregato i suoi occhi di brillarvi fino al loro ritorno… E se quegli occhi fossero invece al posto delle stelle,e quelle stelle infisse alla sua fronte?Allora sì, la luce del suo viso farebbe impallidire quelle stelle,come il sole la luce d’una lampada;e tanto brillerebbero i suoi occhi su pei campi del cielo, che gli uccelli si metterebbero tutti a cantare credendo fosse finita la notte. Guarda com’ella poggia la sua gota a quella mano… Un guanto vorrei essere,su quella mano, e toccar quella guancia!

Dice qualcosa… Parla ancora,angelo luminoso, sei sì bella,e da lassù tu spandi sul mio capo tanta luce stanotte quanta più non potrebbe riversare sulle pupille volte verso il cielo degli sguardi stupiti di mortali un alato celeste messaggero che, cavalcando sopra pigre nuvole, veleggiasse per l’infinito azzurro.


Rugantino - Tirollallero

Tirollallero lallà
Tirollallero
Tirollallero lallà
Tirollallero

La barca nun cammina senza vento
La tela nun se tesse senza trama
Chi fabbrica e nun fa bon fondamento
La casa casca e lui co’ chi reclama ....
Così so io c’ ho fabbricato ar vento
Perché ho voluto bene a chi nun m’ama
Io te saluto….vattene co’ Dio
Tu per il fatto tuo, io per il mio….

Tirollallero lallà
Tirollallero
Tirollallero lallà
Tirollallero

Una candela nun po’ fa du’ lumi
E si li fa nun li po’ fa lucenti…
Una funtana nun po' fa du fiumi
E si li fa nun li po’ fa corenti


Così la donna quanno cià due amanti,
che tutt’e due nun li po’ fa' contenti
mejo che all’uno o all’antro dia licenza
Bella, si tocca a me ce vo’ pazienza

Tirollallero lallà
Tirollallero
Tirollallero lallà
Tirollallero

GLI STORNELLI ROMANI - Romanità

Superato il Medio Evo, nel quale la letteratura era infarcita di rime riportanti il sentimento di ostilità contro la donna ritenuta fonte di malignità e di frode, l’area degli acquedotti declina, come in realtà tutta la città, fino al ‘500.Dalle catacombe di S. Sebastiano alle pendici dei Colli Albani, l’aspetto della Campagna romana è funerea, e solo il sole d’Ottobre, che s’appoggia sulla Tomba di Cecilia Metella, guardando come un innamorato la monumentale architettura degli Acquedotti, rende il paesaggio meno triste.La fama dei luoghi del "malincontro" si estende ben oltre le Alpi. Le gesta dei "furbi" e "malandrini" varcano i confini nazionali, la letteratura europea si riempie di "pajate e coltelli", delle descrizioni delle belle funzioni religiose lungo la via delle Sette Chiese e delle "sassaiole" alla cava dei selci.Ma oltralpe, superando i limiti della lingua popolare, giungono anche gli stornelli, gli sfottò, i proverbi romani. I riti, le tradizioni, i costumi, immortalati dalla memoria, vengono tramandati come favole, leggende. Le storie d’osteria vengono illustrate come le tante piastrelle dei cantori ambulanti pronte ad essere coagulate nella storia e tradizione popolare di ogni luogo. Così non c’è ostacolo di frontiera fra il canto siciliano, la sceneggiata napoletana, lo sfottò romano, la burla toscana e quella d’oltralpe. Un filo comune lega queste tradizioni fatte di parole estrapolate da consigli medici, culinari, d’amicizia e d’amore, mentre dal Medioevo ci giunge il senso dell’odio verso la donna. Questo, limitato nel periodo greco-romano, con l’avvento della cultura oscurantista arriva ai massimi livelli sia in termini filosofici che fisici e triviali. Nella tradizione orale popolare entrano anche i detti nati dai testi sacri, come S. Matteo che asserisce che "In bocca è peccato quello che esce , no quello che c’entra" quasi in risposta all’abbandono della correttezza della tradizione popolare romana dove "né a tavola, né a letto nun se porta rispetto". Il vino che corre a fiumi nelle tavole romane, rallegrando papi e santi, ladri e prostitute è l’elemento essenziale, il perno della civiltà romana, visto che già nell’antica Roma circolava una lista comprendente 192 qualità di vino. Sapendo che il vino "fa’ cantà", è impossibile non affrontare anche il tema delle canzoni nate fra una gita fuori porta ed una occasione come tante per passare una serata in una bettola.

Gli stornelli romaneschi sono sempre stati considerati come un aspetto semplicemente "pittoresco" e "popolare" della vita quotidiana romana senza un vero valore artistico e culturale, perché troppo legati alla passione e alla violenza di una vita dominata dalla miseria e dall’ignoranza. Eppure gli stornelli romani, sempre nati dall’improvvisazione e dall’estro del momento, traevano la loro forza proprio dal fatto di essere così autentici e genuini, sia quando venivano cantati dalle popolane come "sfottò" da balcone a balcone, sia quando assumevano gli accenti drammatici dei carcerati di Regina Coeli. Lo stornello romano di solito breve e immediato e rivolto ad un esiguo pubblico, viene poi ripreso e tramandato dai cantori di strada, dai carrettieri o venditori, da autentici aedi ciechi come Omero, i cosiddetti Pasquali. La loro genuinità rimase intatta almeno fino alla fine dell’ 800, finché cioè vari studiosi non cominciarono a ricercarli e a trascriverli, tradendone in qualche modo, per motivi commerciali, lo spirito originale. Nelle osterie di Statuario, Quadraro-Porta Furba e quelle nelle campagne di Capannelle e Vermicino, viene riportata in musica la quotidianità attraverso lo stornello, correzione e riadattamento delle scenate fatte alle belle contadine, alle monticiane, alle trasteverine.

LA PASSATELLA o CONTA DEL VINO - Romanità

Un gioco molto antico, risalente agli antichi romani che lo chiamavano "Rex vini, regnum vini": se ne trovano entusiastiche descrizioni in Catone e Orazio. Ma nel tempo le regole mutarono, così come sparì il carattere "nobile" del gioco per fare largo ad un passatempo godereccio, popolaresco e cruento.
Il finale, attestano tutti i cronisti dell'epoca, degenerava frequentemente in rissa. Lo scopo era di far rimanere a bocca asciutta e sbeffeggiare uno dei partecipanti. E non sempre il perdente accettava di buon grado di veder gli altri bere il vino che avrebbe dovuto pagare lui. La "passatella" aveva un regolamento molto rigido e fasi piuttosto complesse. Riassumendo all'estremo, gli elementi essenziali erano questi: tutti i giocatori procedevano alla conta aprendo simultaneamente le dita di una mano, come a morra. Chi dalla conta risultava prescelto era detto, semplicemente, "la Conta". Questi aveva diritto alla prima bevuta e doveva nominare il "padrone" e il "sottopadrone" del vino. Al padrone spettava il compito di riempire a sua discrezione i bicchieri degli altri partecipanti. Più determinante, in realtà, era il ruolo del "sotto": costui, infatti, poteva decidere di "passare", ossia di saltare, uno dei giocatori.
E poteva anche nominare dei suoi vice che a loro volta procedevano, ad arbitrio, ad ulteriori "passate". Chi alla fine di una serie di giri, o mani, restava definitivamente escluso dalla bevuta veniva "fatto olmo" (termine di incerta etimologia che significa, appunto, escluso) e doveva pagare per tutti.
La "passata" era quasi sempre suggerita da rancori o ruggini personali, e si ha precisa testimonianza di dialoghi al vetriolo tra i "sottopadroni" e le loro vittime di turno. Non infrequenti, come si accennava, gli epiloghi a coltellate. Specialmente quando l' "Olmo" era un "paìno" dal sangue caldo, uno di quei giovanotti capaci di prendersela a male "si quarcheduno je carpestava l'ombra".

La Casa Bianca procede con i piani per bombardare l'Iran ( post del 28 settembre 2006)

25 settembre 2006
Esperti militari di Washington hanno riconosciuto la validità dell'analisi di Lyndon LaRouche secondo cui Bush e Cheney si ripromettono un attacco contro l'Iran a tempi ravvicinati, “senza preavviso”, come ha detto lo statista democratico, senza consultare il Congresso, le Nazioni Uniti e gli “alleati” degli USA. Lo scenario più probabile, ha spiegato LaRouche, è un ordine di Bush di attaccare l'Iran dalla base aerea di Offutt nel Nebraska.
L'allarme è stato lanciato da diversi ambienti contrari alla politica imperiale:
* Il colonnello in congedo dell'Air Force Sam Gardiner ha scritto un articolo per «The Century Foundation» in cui spiega che elementi dell'amministrazione Bush non tengono conto delle preoccupazioni espresse dagli ufficiali in servizio ma sono sempre più propensi a ordinare gli attacchi aerei, miranti non solo ai siti del programma nucleare iraniano, ma a colpire lo stesso governo per “decapitare” il regime. L'analisi di 25 pagine di Gardiner è intitolata “La fine della 'estate della diplomazia'.”
* Un lungo articolo pubblicato il 21 settembre da The Nation, intitolato “Segnali di guerra”, riferisce: “The Nation è venuto a sapere che l'amministrazione Bush e il Pentagono hanno emesso ordini per la costituzione di 'gruppo d'assalto' di navi ... che si diriga verso il Golfo Persico, sulle coste occidentali dell'Iran”. Al gruppo apparterrebbero la portaerei Eisenhower e una scorta di sottomarini. The Nation cita Gardiner e diversi altri ufficiali militari e dell'intelligence, tra cui il noto ex analista della CIA Ray McGovern, che hanno confermato l'estrema gravità della situazione.
* Sull'American Conservative, l'ex funzionario CIA Phil Giraldi ha riferito i moniti provenienti da diversi militari in servizio e da parte di politici preoccupati per la fretta con la quale la Casa Bianca sta procedendo verso il bombardamento dell'Iran.
* Il colonnello dell'Air Force Karen Kwiatkowski spiega in un articolo su LewRockwell.com che l'invasione dell'Iran “non è soltanto già pianificata, ma è già in corso”. “Prove, piani e documenti mostrano che l'invasione dell'Iran, usando l'Iraq, il Golfo Persico, il Pakistan, la Turchia, il Kurdistan, soldati e marines iracheni e americani … è già in corso, illegalmente”.
* Lo scrittore iraniano Abbas Bakhtiar, professore universitario in Norvegia, ha pubblicato due analisi sul pericolo di un attacco USA in Iran. La prima è un articolo apparso il 28 agosto su “Scoop Independent News”, la seconda è un'analisi di 80 pagine intitolata “U.S. vs Iran: Hybrid War”.
Secondo Bakhtiar, l'Iran risponderà all'aggressione con l'impiego di forze regolari e irregolari (da qui il termine guerra ibrida). Dopo aver ampiamente descritto le forze di cui dispone l'Iran, (350 mila regolari, 100 mila della guardia repubblicana, 100 mila volontari. Inoltre: 350 mila riservisti dell'esercito e 300 mila riservisti dei volontari. 45-60 mila poliziotti. Ma secondo alcune stime i volontari potrebbero salire, con le riserve, fino ad alcuni milioni).
Bakhtiar cita rapporti della sicurezza saudita secondo cui l'Iran disporrebbe di elementi piazzati ad alto livello nei ministeri ed in altre istituzioni irachene. Di conseguenza l'Iran potrebbe scatenare la guerra asimmetrica in Iraq, colpendo in profondità le forze anglo-americane ivi stanziate e le loro linee di rifornimento.
Bakhtiar spiega inoltre che le forze iraniane hanno la capacità di bloccare lo stretto di Hormutz, in maniera tale da costringere gli USA ad occupare la regione meridionale dell'Iran e le trenta isole, con un impiego incredibile di forze navali per liquidare le numerose piccole imbarcazioni della guardia repubblicana. Sullo stretto di Hormuz grava inoltre un'ipoteca cinese: nel caso di blocco americano dello stretto, la Cina si troverebbe tagliata fuori dai rifornimenti vitali. Inoltre, lo stesso Iran potrebbe decidere di prendere di mira con i suoi missili tutti i pozzi della regione, compresi quelli del Qatar, del Bahrein e del Kuwait, dove sono presenti basi USA.
Bakhtiar illustra approfonditamente la strategia della guerra ibrida alla quale l'Iran si starebbe preparando dal 1980, anche studiando le esperienze USA in Afghanistan e Iraq. “Le recenti manovre militari iraniane mostrano come, se attaccato, il paese potrebbe schierare uno dei più imponenti eserciti irregolari che si sia mai visto…”
L'Iran probabilmente risponderà alle incursioni aeree USA con spedizioni della Guardia Rivoluzionaria a combattere le truppe americane sia in Iraq che in Afghanistan. A quel punto agli USA non resterebbe che l'opzione di invadere l'Iran, ma il grosso delle sue truppe sarebbe già inchiodato a combattere contro le truppe irregolari nei due paesi confinanti. Allora resterebbe solo l'opzione nucleare. L'Iran, di contro ha anche l'opzione delle armi chimiche e biologiche, scrive Bakhtiar. Inoltre, se l'Iran attacca Israele, quest'ultimo si rivolgerebbe contro la Siria, che comunque ha un patto di difesa con l'Iran e a quel punto non potrebbe restare fuori dal conflitto.
Lo studio è una utile esposizione, molto dettagliata, su come si sviluppa la guerra irregolare che LaRouche ha denunciato come il pericolo maggiore derivante da un attacco dei neocon contro l'Iran.
Non sorprende come un'accelerazione di questa politica folle sia avvenuta proprio nel momento in cui il presidente iraniano Mohamoud Ahmadinejad ha fatto diverse offerte a favore della pace nel corso della visita negli USA ed alle Nazioni Unite

Le audizioni dei democratici al Senato
Intanto sono iniziate il 25 settembre le audizioni del Senate Democratic Policy Committee sulla condotta della guerra in Iraq. La seduta è stata presieduta dal capogruppo Harry Reid e dai sen. Durbin, Dorgan e Shumer. La controparte repubblicana, vivamente invitata a partecipare, ha preferito disertare la seduta.
La lista di tutto quello che è andato per storto nella guerra in Iraq è stata presentata da Reid e sono stati poi ascoltati tre alti ufficiali in congedo. Tutti e tre hanno auspicato un avvicendamento ai vertici del Pentagono ma al tempo stesso hanno anche deprecato la latitanza del Congresso e degli stessi democratici nel contrastare la guerra.
Il colonnello dei Marines Thomas X. Hammes, autore di un libro molto apprezzato sulla guerra irregolare, ha ricordato ai senatori che la banda composta da Bush, Cheney e Rumsfeld non ha “preso il potere”, piuttosto, “il potere è stato loro ceduto” da parte dei parlamentari democratici quando nel 2002 decisero di non indire il dibattito sull'Iraq prima del voto. Dopo quelle elezioni fu troppo tardi, anche perché il dispiegamento militare era entrato in una fase avanzata.
Il general maggiore dell'esercito Paul Eaton ha dovuto rispondere al sen. Schumer sulla riluttanza degli ufficiali in servizio di parlare senza riserve sulla situazione reale in Iraq. Gli ha ricordato che il Congresso ha l'autorità di convocare a deporre, e di obbligare gli ufficiali a dire tutta la verità, a prescindere da chi è al governo. Se il Congresso lo facesse, gli ufficiali sarebbero finalmente liberi di ignorare le pressioni di Rumsfeld, ha detto Eaton.
Il general maggiore John Batiste, uno degli ufficiali in congedo più critico nei confronti di Rumsfeld, ha spiegato che occorre smetterla di “ipotecare il nostro futuro al tasso di 1,5 miliardi a settimana e di sostenere il nostro grande esercito e i Marines con finanziamenti straordinari”.